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© Fiorenza Triassi, Oblivion #5

Oltre l’immagine: il dispositivo fotografico come strumento di riflessione e luogo dell’esperienza

Pietro D’Agostino, Giorgio Di Noto, Federico Grandicelli

Nelle ultime righe del Tractatus Logico-Philosophicus, Wittgenstein parla della sua opera come una scala da usare per salire più in alto e poi gettare via, come un dito puntato per andare oltre lo stesso dito. In modo affine, i tre autori in mostra utilizzano il dispositivo fotografico come pratica per interrogare il mondo e come filtro per ritrovare una dimensione estetico-esperienziale, oltre l’immagine e il suo rapporto di referenzialità diretta con il reale, alla ricerca di un confronto con paesaggi “altri”; paesaggi mentali, virtuali, paesaggi che vanno aldilà del semplice dato visivo.
Nella serie Se fossi cosa, cosa sarei, Pietro D’agostino accumula piccoli oggetti inutili che in camera oscura diventano figura bidimensionale attraverso l’ingranditore: sono forme che non vediamo nella realtà ma che il dispositivo registra e che mutano nuovamente, sottoposte all’ipotesi di tornare ad avere 3 dimensioni, e magari diventare oggetti di uso quotidiano. Segna così la traccia per un passaggio dal campo artistico al campo dell’esperienza, che si conferma nelle sue Carte Foto Viaggio, e con modalità dall’apparenza banale mette in sospensione le nostre abituali dinamiche conoscitive in cui l’esperienza della scoperta funziona come una forma di ri-conoscimento, dove riproduciamo ciò che conosciamo.

Nel suo lavoro The Iceberg, Giorgio Di Noto crea una tassonomia dell’uso delle immagini legate al traffico di droga nel contesto del deep web, immagini effimere che scompaiono appena assolta la loro funzione, immagini invisibili perché al di sotto di quella punta dell’iceberg rappresentato dal web di superficie dove perlopiù navighiamo. Stampando immagini con inchiostri visibili solo attraverso una speciale luce UV, Giorgio compie un gesto metalinguistico che è anche consegna di strumenti e modalità interpretative attraverso cui delega lo spettatore a scoprire l’immagine secondo le proprie modalità. Nella riproduzione in 3d della famosa fotografia di Doisneau, seguendo una direzione inversa rispetto a quella di Pietro D’agostino, scardina le nostre abitudini percettive mettendoci di fronte a forme estranee che lentamente si rivelano più familiari del previsto.

Federico Grandicelli compie le sue verifiche in prima persona, e in Equivalenze parte da una serie di limiti e condizioni poste a priori, gradualmente messe in scacco dal suo rapporto fisico con la materia, che qui consiste in origami informali di carta fotografica che espone alla luce dell’ingranditore e poi fissa dispiegandone il risultato in quel che appare come una figura astratta. Registrando le sue operazioni e le forme che ne derivano con la polaroid, attiva esplicitamente un movimento a spirale di senso fra riproduzione l’esperienza, registrazione di un evento e immagine come punto di arrivo e al contempo di nuove partenze.

Filo conduttore di quelle che si possono considerare tre variazioni della cameraless photography è la luce e il suo aspetto fisico, ambivalente, al confine fra visibile e invisibile, e una comune curiosità e attitudine ludica per questioni da prendere sul serio, affrontate ponendosi all’incrocio di più linguaggi e ricercando il superamento del limite delle due dimensioni attraverso un contatto con l’ambiente che riporta l’oggetto visivo alla terza dimensione, il dialogo con la scultura, e una relazione attiva con lo spettatore che interagisce, e si muove intorno alla cosa, all’oggetto che pone questioni.

A fare da sponda a questo approccio mentale, c’è un fare pratico che funziona come verifica delle proprie riflessioni, e che si avvale di tecniche tradizionali, come il lavoro in camera oscura, dove l’oggetto prodotto si fa testimone muto di ciò che gli è intorno e portavoce di una deriva di senso rispetto a ciò che rappresenta, della riproduzione attraverso stampe sperimentali dell’immagine digitale trovata nell’anonimato del web, della rielaborazione di immagini attraverso algoritmi e stampe 3d, in un attraversamento del reale che è anche una riflessione sull’arte, una “verifica” simile a quelle a suo tempo realizzate da Ugo Mulas.

Location: Rocca Colonna – Sala 12

Fiorenza Triassi

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